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Tesi videogiochi e apprendimento. Interviste: Michele Laurelli

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Nelle moderne forme di comunicazione, risulta comune osservare una persistente affezione verso idee antiquate ereditate dalle generazioni precedenti, spesso accompagnate da una diffidenza nei confronti delle novità. Questa tendenza si fa particolarmente evidente nell’ambito della musica, dove le nuove generazioni spesso si ritrovano a subire giudizi negativi da parte di quelle più anziane. Sebbene sarebbe interessante esaminare questa dinamica dal punto di vista psicologico, il mio lavoro di ricerca è focalizzato su un argomento diverso.

Un esempio lampante di questa situazione emerge nel mondo dei videogiochi, dove le generazioni più anziane spesso non solo non capiscono appieno questo mezzo, ma tendono anche ad evitare di informarsi e rimanere aggiornati in merito. Quante volte abbiamo sentito affermazioni del tipo “i videogiochi sono solo per i ragazzi” nel corso della nostra vita? Nel mio progetto, ho lo scopo non solo di dimostrare che i videogiochi costituiscono un mezzo valido, ma anche di evidenziarne il loro potenziale come strumento educativo.

Per sostenere la mia tesi universitaria, ho collaborato con numerosi esperti provenienti da vari campi, sia accademici che dell’industria dei videogiochi. La mia ricerca affronta una vasta gamma di tematiche, tra cui l’arte, la creatività e soprattutto l’educazione. Sono desideroso di condividere i risultati di queste interviste qui, su internet.

La prima intervista è stata condotta con il Professor Michele Laurelli, che nonostante i suoi numerosi impegni, ha gentilmente accettato di partecipare a questa conversazione.

Pro
Professor Michele Laurelli

Domanda 1

Dr. Andrea Alfonsi:
-Parli  brevemente di lei e del suo lavoro

Professor Michele Laurelli:
-Mi chiamo Michele Laurelli e mi occupo principalmente di software legato all’intelligenza artificiale, in particolare nell’ambito dell’AI (Artificial Intelligence). Questo coinvolge due principali approcci: attraverso la consulenza personale e tramite la mia software firm chiamata Algoretico.

Per quanto riguarda il primo approccio, offro servizi di consulenza personale. Inoltre, ho fondato una società chiamata Algoretico, che si concentra sullo sviluppo di software. Questo rappresenta il mio primo modo di contribuire.

Nel secondo approccio, svolgo attività divulgative. Questo coinvolge la docenza in università e in scuole di formazione professionale. Uno dei miei progetti in questo campo è AI Uni, una scuola di formazione sull’intelligenza artificiale. Per promuovere la conoscenza, utilizzo strumenti di divulgazione classici quindi blog, podcast e altre iniziative di divulgazione.

Il motivo alla base del mio impegno è la convinzione che l’intelligenza artificiale richieda una solida base di conoscenze per essere utilizzata in modo efficace. Questo campo spesso subisce fraintendimenti a causa del suo nome, che può portare a cliché e preconcetti sbagliati. Dato l’enorme impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo, è essenziale riconoscerne l’importanza, prevederne le implicazioni e guidarne lo sviluppo in modo responsabile.

Domanda 2

Dr. Andrea Alfonsi:
-Quali esperienze formative ha acquisito all’interno del mondo dei videogiochi? In che modo ritiene che queste esperienze abbiano contribuito al suo apprendimento e alla sua crescita?

Professor Michele Laurelli:
-Sono da sempre un appassionato di videogiochi e credo che essi rappresentino una forma d’arte. Per me, i videogiochi sono un mezzo per raccontare storie e esprimere punti di vista, costituendo quindi una forma di espressione artistica. Gioco fin da quando ne ho memoria, ed è stato attraverso il videogioco che ho avuto il mio primo approccio all’informatica. Fin da piccolo, l’idea di poter interagire con i computer tramite i giochi mi stimolava e incuriosiva. È stata una via attraverso cui ho iniziato a comprendere il mondo dell’informatica. Ricordo chiaramente che il BASIC, sebbene già anacronistico quando ero bambino (sono del ’91), è stato il linguaggio di programmazione che ho appreso per creare semplici giochi. Questa esperienza è avvenuta durante le scuole medie e l’ho affrontata autonomamente, trovandola molto divertente.

Nonostante la sua datata natura, il BASIC mi ha insegnato i fondamenti della programmazione, contribuendo significativamente alla mia formazione. Questa esperienza ha influenzato notevolmente il mio percorso, poiché la mia passione per i videogiochi si è naturalmente tradotta in una passione per l’informatica. I miei genitori hanno sempre sostenuto questa passione, garantendomi l’accesso a console e videogiochi che mi interessavano.

Un momento significativo è stato quando ho affrontato Final Fantasy VII, il primo titolo della saga, nonostante non parlassi inglese all’epoca. Questa sfida mi ha portato a navigare nei forum online, alla ricerca di soluzioni. In uno di questi forum ho scoperto che qualcuno era riuscito a creare una mod per la versione PC di Final Fantasy VII, che aggiungeva il supporto alla lingua italiana. Ero riuscito a modificare il gioco nella sua versione per computer al fine di aggiungere la lingua italiana, e questa situazione aveva aperto nuove prospettive. Per la prima volta, avevo ottenuto una visione dettagliata della struttura e del funzionamento di un sofisticato software come il videogioco complesso di quell’epoca, ovvero Final Fantasy VII. Questo momento segnò una svolta significativa per me, poiché mi fece rendere conto dell’entusiasmante mondo che si celava dietro e decisi fermamente di approfondire questa passione.

Domanda  3 

Dr. Andrea Alfonsi:
-Può definire il concetto di apprendimento attraverso i media videoludici e fornire esempi concreti di come questo tipo di apprendimento si possa manifestare nella pratica?
I videogiochi, come ad esempio Minecraft e Terraria, in quale maniera influenzano la creatività e la capacità di pensiero innovativo? In che modo l’interattività di questi giochi contribuisce allo sviluppo della creatività dei giocatori?

Professor Michele Laurelli:
-Partiamo dalla prima parte della domanda, cioè l’apprendimento di base con gli strumenti videoludici. Ovviamente dipende molto da che cosa stiamo cercando di imparare o di insegnare, però sappiamo con abbastanza padronanza che lo strumento dell’educazione frontale standard non è sempre efficace o comunque comincia a esserlo sempre di meno, proprio perché un po’ l’umanità in generale si è allineata a quelli che sono gli strumenti che abbiamo a disposizione.

Innanzitutto da internet, a partire dalla diffusione come comodità dello strumento, ci mette nella condizione di non essere più semplicemente dipendenti dal racconto di un docente. Se io voglio imparare  a montarmi un computer, non ho più bisogno di aspettare che un docente me lo spieghi.  Posso da solo andare a recuperare le informazioni che mi servono nel modo in cui ritengo più opportuno. Se sono una persona che impara leggendo cercherò degli articoli di blog, se sono una persona che impara guardando cercherò un video di Youtube, se sono una persona che impara confrontandomi con gli altri andrò a cercare un’area di discussione, un gruppo Facebook, un forum se ne esistono ancora e via dicendo.

Ovviamente ci mette delle aspettative nel modo in cui impariamo e nel modo in cui davanti al docente ci aspettiamo di trovare. Ad esempio, se io sono una persona che impara facendo comunque con un supporto autonomo, la sola spiegazione non mi sarà sufficiente, avrò bisogno poi di lavorarci da solo. Quindi questo ci mette nella condizione di aggiungere un medium in più. L’interattività, cioè l’educazione non frontale, ci mette appunto nella condizione di aggiungere uno strumento in più.

All’inizio si è provato a fare, proprio nella sperimentazione di insegnamento, si è provato a fare altro, ci sono stati tanti tentativi. Il videogioco sembra effettivamente essere uno strumento particolarmente interessante. Nel prosieguo, descriverò la mia esperienza personale concentrandomi sull’insegnamento dell’informatica 

 Il videogioco e l’informatica si sposano molto bene perché il concetto di costruire, di fare e di utilizzare un pensiero diverso da quello che utilizziamo normalmente, quindi pensiero “informatico”,  si sposa davvero molto bene con un’esperienza di gioco e un’esperienza interattiva di premio e di raggiungere obiettivi. Quando si lavora un programma informatico si lavora per piccoli passi, si smonta a un obiettivo più grande e quindi si lavora per pezzi. Allo stesso modo con cui si supera un livello, si raggiungono degli obiettivi, si compie una missione.

Spezzettare pezzo per pezzo quel raggiungimento è la stessa cosa del piacere tra Virgolette che si ha quando lavorando ad un progetto si raggiunge uno scalino in più rispetto all’ quadro complessivo.

Mi collego alla seconda parte della domanda perché hai citato i giochi come Minecraft che in realtà ti mettono esattamente in una condizione di quel tipo con l’aggiunta che non ho un obiettivo preciso di base. Ho la libertà di costruire quello che voglio con gli strumenti che il gioco mi offre, che sono in realtà, per poter costruire tutto quello che voglio, semplificati.

Naturalmente, in Minecraft ho i cubetti dei materiali che posso combinare per costruire altri materiali o per costruire qualche cosa. In questo caso, diciamo che Minecraft va a fare quello che un’informatica, ad esempio, è una sandbox, quindi uno spazio libero dove dati alcuni strumenti e sono la mia creatività a dirmi che cosa posso fare. Adesso, per esempio, la sandbox, a proposito di intelligenza artificiale, l’abbiamo vissuta con OpenAI in strumenti come la sandbox che ci offre, oppure c’è GPT dove ci troviamo davanti a un dispositivo che ci permette di fare tutto quello che vogliamo.

Quello è il modo in cui le persone, ad esempio, giocandoci, anche senza un videogioco vero e proprio, ma l’esperienza di giocarci, quindi di poterci mettere le mani, ha permesso a tutto il mondo di capire che cos’è l’intelligenza artificiale, come si comporta, che cosa fa, quali sono i suoi limiti e quali sono le sue applicazioni. OpenAI ha fatto una cosa che il videogioco fa in altri contesti, cioè ci ha permesso di giocare con qualcosa che, divertendoci, perché poi c’è Chat GPT e ha divertito tante persone, ci ha insegnato cos’è e come funziona senza troppo star lì a raccontarci la teoria che funziona dietro.

E’ chiaro che la teoria è importante e andrebbe sempre approfondita, soprattutto in questo caso, però è importante capire come quel gioco a modo Minecraft, quindi la libertà di poter costruire qualcosa davanti a uno strumento che ci dice soltanto quali sono i tool che abbiamo a disposizione, ma non ci dà delle regole precise, permette di giocare e di imparare tantissimo. A partire da mia mamma al ragazzino più curioso, entrambe le persone hanno capito cosa possono fare da uno strumento del genere, semplicemente giocandoci e credo che questo sia un fantastico esempio di sviluppo di creatività e capacità di pensiero innovativo che un gioco così semplice, così libero ci può dare.

E’ chiaro che quando si parla di apprendimento di un oggetto più complesso come può essere la programmazione, abbiamo bisogno di strumenti più avanzati, più complessi, che ci danno le regole e che ci forniscono anche in contemporanea un po’ di teoria. Riprendendo il nostro formato Final Fantasy, in tutti i Final Fantasy c’è una grossa componente di teoria, ad esempio nello sviluppo dei personaggi. Ci vengono date delle regole precise, ci vengono dati degli strumenti precisi, ad esempio nel settimo capitolo  abbiamo l’utilizzo delle materie per attribuire ai personaggi capacità magiche o forza o difesa aggiuntive a seconda di quali utilizziamo.

In altri, come per esempio Final Fantasy X, ci sono sistemi molto più complessi come lo sviluppo delle sfere, oppure in altri videogiochi come per esempio i Souls o tanti altri giochi di ruolo abbiamo l’attribuzione di valori al parametro che preferiamo, quindi decidiamo di allenare la forza, la difesa, la magia, l’intelligenza e via dicendo. Quindi abbiamo sistemi più complessi che ci raccontano anche un po’ di teoria e questo in realtà ci obbliga a sviluppare pensiero innovativo perché ci obbliga a pensare a un obiettivo di ampie Vedute, cioè ci dice, ci obbliga a chiederci dove vogliamo arrivare. Qual è il nostro obiettivo finale nello sviluppo del personaggio o addirittura della storia in alcuni casi? E quindi siamo appunto obbligati a pensare a quello che sarà dopo e non solo a quello che stiamo facendo adesso. E questo è il modo in cui siamo proprio obbligati a sviluppare creatività nei giocatori.

In Minecraft questa cosa si vede alla massima esponente perché abbiamo letteralmente la libertà di costruire una cattedrale o semplicemente giocare con quelli che possono essere i materiali o esplorare l’ambientazione di base che abbiamo trovato. 

Extra domanda 3

Dr. Andrea Alfonsi:
-Vorrei incalzare la domanda prendendo in esame  un aspetto che mi interessa molto, ovvero quello di cercare in caso di un ostacolo molto Imponente come un boss, è quello di riguardare un attimo la propria build e migliorala o modificarla, anche cercare o di aggirare l’ostacolo o in un miglioramento personale. 

Professor Michele Laurelli:
– O meglio obbligarci ad avere una visione laterale. Una delle cose che ho trovato sempre più affascinante dei Souls è il fatto che i boss sembrano sempre impossibili, perché sono sempre impossibili, fino a che non si capisce qual è il punto di vista giusto.

C’è un esempio che ci tengo a fare. Io ho studiato pianoforte nel conservatorio per qualche anno della mia vita, e mi ricordo che il mio insegnante di lettura della partitura, che era pianoforte in realtà, mi ha segnato un esercizio e io gli avevo detto, maestro non ci riesco, cioè non sono riuscito a farlo. E lui mi ha detto, vai provi, mi faccia vedere. E lui mi aveva semplicemente detto, no in realtà lei sta semplicemente sbagliando gli accenti. E mi ha detto, se mette l’accento qui, vedrà che le riesce. Ed era effettivamente così. E io ho sentito, diciamo, perché non ci avevo pensato.

Con i Souls è la stessa cosa. Il momento in cui riesco a trovare la chiave di lettura, che di solito è anche collegata alla storia, alla lore dei Souls, il momento in cui riesco a trovare la chiave di lettura, che cosa funziona o che cosa devo fare, sono anche lì obbligato a sviluppare pensiero creativo, perché sono obbligato a capire cosa sta succedendo, perché sono lì, perché mi trovo davanti a quella cosa lì, come la devo affrontare.

Domanda 4 

Dr. Andrea Alfonsi:
-Quali elementi e caratteristiche dei videogiochi li avvicinano al concetto di arte?

Professor Michele Laurelli:
-Ovviamente questo si applica a molti videogiochi e a tutte le forme d’arte, a delle versioni che sono più vicine o meno vicino al concetto di arte.

Nella maggior parte dei titoli che conosciamo, la cosa che li avvicina per me di più all’arte è il fatto che raccontano qualcosa. Questo qualcosa di solito è la visione dello sviluppatore, del team di sviluppatori o del team creativo che ci sta dietro, che può essere sia legata ad una storia.

A proposito, rimanendo nei Souls, mi viene in mente l’incredibile storia di Bloodborne o di Elden Ring, che è ancora più recente e reperibile. Sono universi che sono tranquillamente assimilabili a grandi prodotti dei fantasy televisivi o libri. Per me la caratteristica principale è il fatto che raccontino una storia.

L’intelligenza artificiale in questo dà un contributo in più rispetto a quello che poteva essere lo sviluppo di qualche anno fa, perché aggiunge un livello di personalizzazione nell’utilizzo di questi strumenti. Ad esempio, sempre per stare nei Souls, l’avversario è sempre molto proporzionato a quelle che sono le mie capacità. Io posso “livellare” il mio personaggio quanto voglio, che comunque se non mi comporto in un certo modo, se non sto attento a quello che sto facendo, passano pochi secondi.

Comunque rimanere “one shottato”, per usare un termine da videogiocatore, proprio perché si abitua, si allena e si struttura il videogioco in base alla mia esperienza. E questo ancora di più lo rende artistico, nel senso che mi mette in un contesto di una storia, di qualcosa che mi obbliga a viverla.

Quindi se come forma d’arte abbiamo bisogno di trovare un racconto, qualcosa che mi trasmetta anche soltanto una serie di emozioni, diciamo che sicuramente il videogioco è per me tra le più alte e complesse espressioni artistiche.

Domanda 5

Dr. Andrea Alfonsi:
-Come può l’immersione in un ambiente videoludico facilitare l’apprendimento di una nuova lingua? mi riferisco anche a il Videogiocare online 

Professor Michele Laurelli:
-Per i videogiocatori è sempre successa una cosa, e ultimamente è più facile vederla, che è quella di sviluppare un lessico comune. Cioè, nel mondo di chi Videogioca tanto, esistono alcuni termini che non esistono fuori come ad esempio quelli che ho usato prima, “one-shotare” e “livellare”. Abbiamo utilizzato dei termini che non esistono fuori. Questo perché ci racconta una cosa che è la necessità di comunicare all’interno di quel contesto.

Io mi ricordo quando ero piccolo, cioè all’ elementari, era uscito  Pokémon blu e rosso, era proprio il primo titolo. E tra i miei compagni, siccome la versione in italiano era sempre sold out, pur di non stare senza, avevamo comprato io per primo la versione in spagnolo del videogioco. E questo ci obbligava in qualche modo ad imparare alcune parti della lingua, come ad esempio la prima cosa che viene in mente è la risata. Vedevamo scritto “jajajaja”  con la J.  E io mi ricordo ho appreso questa cosa in quel momento perché non lo sapevo, perché prima ovviamente per me era solo “hahaha”. Invece questa cosa qui mi aveva fatto un esempio per dire che ero obbligato a capire. Però l’avevo capito perché ovviamente il videogioco mi fornisce un contesto nel quale sono inserito.

Come dicevo prima, racconta una storia, mi costringe ad imparare e a considerare quello che sto facendo con la massima cura. Soprattutto nei giochi open world, come Pokémon che lo era già ante litteram, il gioco mi lascia libertà di scelta sul dove andare, cosa fare e come farlo. E questa cosa mi costringe a capire che cosa sta succedendo, perché se non capisco non posso farlo.

Final Fantasy VII ad un certo punto del gioco, nello specifico dopo il secondo disco, io sono libero di esplorare il mondo come voglio. E questo come voglio però significa che se non capisco dove devo andare posso anche girare all’infinito e non troverò mai il passo successivo dello sviluppo della trama per proseguire il gioco. Non ci riuscirò perché non capisco cosa devo fare.

Quindi lo sviluppo della lingua, se sto giocando un gioco diverso dalla mia lingua madre, questo mi obbliga a dover capire che cosa sto facendo oppure non riuscirò a farlo. Quindi è un’immersione che è un po’ l’analogia di quello che.. una volta si diceva “se vuoi imparare una lingua si deve andare a viverla al estero”. l videogioco offre un micro-universo dove questa cosa è possibile senza lasciare casa propria. Posso vivere un universo, entrare in contatto con persone, giocare con altri giocatori, senza Incontrarli dal vivo . Oggi, la maggior parte dei videogiochi offre una larga parte multiplayer. Multiplayer significa che, come esempio Fortnite  Io mi troverò dall’altra parte della cuffia una persona che non parla la mia lingua e che l’unico modo che ho per comunicare con lui è trovare un lessico comune.

Questa cosa, in un mondo in cui l’inglese è dominante, prima o poi tutti i termini arrivano a coincidere con la lingua inglese. E quindi come dicevamo all’inizio della risposta, nascono dei termini che mi permettono di capire che cosa sta dicendo l’avversario proprio in termini di giocare. Ad esempio devo luttare in un’area di Fortnite per trovare gli equipaggiamenti che mi servono. E’ chiaro che il looting per noi non farebbe dire niente in teoria, ma grazie alla necessità di dover comunicare scopro un nuovo lessico che mi offre quella possibilità.

L’immersione in un ambiente videoludico non solo facilita, ma mi obbliga a sviluppare ragionamento in una lingua diversa.

Domanda 6

Dr. Andrea Alfonsi
-In che modo l’esperienza di videogiocare insieme a qualcuno a titoli cooperativi può tradursi in abilità utili in ambito lavorativo e scolastico?

Professor Michele Laurelli:
-Nei giochi cooperativi c’è una componente, lapalissiana, la necessità di cooperare con qualcuno. In realtà questa cosa già c’è in moltissimi giochi single player, ma ovviamente giocare con qualcuno, come ad esempio prendiamo Fortnite, mi costringe a collaborare per raggiungere un obiettivo. Se non collaboro con l’obiettivo non lo raggiungerò mai, quindi devo non solo difendere il mio compagno, ma mettere insieme delle strategie che funzionino solo se entrambi le condividiamo.

È un allenamento che già molte volte nella vita ci troviamo a fare, quindi questa volta non mi sento di dire che è predominante nei videogiochi, perché in qualche modo ci troviamo a dover fare le cose insieme agli altri nella vita. È chiaro che nel videogioco siamo in una condizione di nuova di forza, cioè o facciamo così o non funziona.

Fortnite è uno strumento importante per alcuni ragazzi molto giovani, perché imparano oltre che la necessità di comunicare, anche la necessità di cooperare. Fortnite infatti offre degli strumenti molto comodi per poter comunicare anche senza parlare e questo ripeto costringe a cooperare in modo intensivo

Domanda 7

Dr. Andrea Alfonsi
-In che modo i giochi online possono agevolare la connessione tra le persone, fornendo un’alternativa alla socialità tradizionale, soprattutto per coloro che affrontano problematiche o restrizioni nell’instaurare relazioni sociali tradizionali?

Professor Michele Laurelli:
-C’è una storia bellissima su questo. È stato fatta una serie su Netflix, che tratta  Final Fantasy XIV, che è un titolo esclusivamente online. la Serie, se non l’ha visto, lo consiglio tantissimo, si chiama Dad of Light, e parla del di questo ragazzo, mi ricordo fosse adolescente, diciamo intorno ai 15 anni, che  si è chiuso in se stesso e rimane a parlare soltanto con i suoi amici all’interno del videogioco, perché ha difficoltà ad uscire di casa,  Ora, la storia è molto bella, perché oltre che essere una storia vera, è anche molto ben raccontata, e parla di questo papà, che in realtà pur di capire il rapporto che non è riuscito ancora a sviluppare con il figlio, si crea un utente in Final Fantasy XIV, e gioca insieme a lui e la sua compagnia di amici con cui in realtà è riuscito ad aprirsi. Perché appunto, lui avendo questa grossa difficoltà, riesce a svilupparlo invece con un gruppo di amici ed amiche che si forma online, che non ha mai visto ovviamente.

Per rispondere alla sua domanda è una cosa molto tipica che succeda che aiuti la socialità, perché si vivono delle storie, dei racconti insieme. Io ad esempio faccio parte di diverse community con le quali ho rapporti di amicizia intensi, anche pur non avendo mai visto le persone. E ce l’ho perché magari si passano tante ore insieme, o magari si è condiviso qualcosa di particolarmente appassionante, come nel mio caso ad esempio la storia di Bloodborne, o semplicemente tante partite a qualcos’altro. Oppure, anche sempre parlo per esperienza diretta, ho diversi amici che vedo nella vita di tutti i giorni, ma che ho stretto un legame particolarmente stretto, proprio perché molte delle sere ci sentiamo per giocare a qualche cosa online insieme.

Ripeto, la serie  lavora molto su questo e quindi mi sento di consigliarglielo sia come visione personale, ma come parte di risposta a questa cosa di cui stiamo parlando. Però, diciamo, sia per il suo lavoro in generale, è una cosa davvero, davvero bella.  Quindi in breve sì, in alcuni casi risolve il problema. Voglio però aggiungere una cosa che credo possa valere sia nel caso della risposta legata alla socializzazione, sia al fatto del vice dell’insegnamento. Questo è uno strumento videoludico, è uno strumento estremamente importante e lo è se però utilizzato nel contesto giusto. So che sembrerà banale, però il videogioco in quanto esperienza estremamente immersiva, se utilizzato correttamente risolve un problema di socializzazione e di rapporti umani. Se utilizzato nel modo sbagliato, come ad esempio l’evasione da un trauma, non sono uno specialista ovviamente, non è il mio mestiere, però non è raro che questo accada e che venga utilizzato come evasione come strumento di isolamento.

L’impreparazione di cui parlavamo prima, e c’è il fatto che siamo in un mondo che non è preparato all’utilizzo di questi strumenti, deve essere trasformato in preparazione e in conoscenza di come questi strumenti funzionano, perché possono essere una grandissima opportunità, ma ovviamente anche un rischio nel caso in cui vengano semplicemente buttati lì come senza contesto non si può semplicemente guardare che non facciano qualcosa di male, cioè non è evitargli di usare GTA perché puoi uccidere del gioco alla gente per piacere, ma è spiegargli il perché questa cosa lì la puoi fare e il perché questa cosa lì succede in questo modo e cosa vuol dire quello che stai facendo. Questo è ovviamente il discorso principale dietro l’utilizzo di questi strumenti.

Domanda 8 

Dr. Andrea Alfonsi
-Sappiamo che i media videoludici affrontano sfide nell’esecuzione, particolarmente per quanto riguarda giochi datati. Nel caso in cui le aziende sviluppatrici non ristrutturino tali giochi, c’è il rischio che vadano persi nel tempo, come lacrime nella pioggia. Al contempo, la pirateria spesso ha consentito di riportare in auge numerosi giochi tramite l’uso di mod o emulatori. Poiché lei ha competenze informatiche più avanzate delle mie, desidererei porle questa domanda: quali strategie potrebbero essere adottate per contrastare questo fenomeno di abbandono che coinvolge molti titoli retrò, considerando anche il contributo positivo che talvolta la pirateria può offrire nel preservare questi giochi?

Professor Michele Laurelli:
-Questa è forse la mia domanda preferita tra quelle che avevo letto e quelle che mi aveva fatto, e le devo dire che ho una visione precisa su questa cosa. Premetto che per me ho molto a cuore il concetto di software libero. Cosa intendo con software libero? (Open sorce)  Nella mia società algoretico e anche nella mia attività di consulenza personale, io al termine del progetto ho l’abitudine, e anche proprio nel contratto che offro ai miei clienti, di rilasciare il codice sorgente. Perché ovviamente quello è un valore che la persona ha comprato, nel mio caso perché l’azienda ha comprato un software o comunque gli serviva una soluzione digitale per fare qualcosa.

Rilasciare il codice sorgente è una cosa che gli informatici di solito si dividono in due categorie, quelli che lo fanno e quelli che non lo fanno, i videogiochi di solito non lo fanno. Non lo fanno perché ovviamente potrebbe essere copiato, modificato, rielaborato e tutta una serie di problemi che conosciamo molto bene. In realtà quello che magari non si tende a non conoscere sono i costi di mantenimento oltre che quelli di sviluppo che questi software hanno, quindi se io vado a piratare un gioco appena uscito sto non solo commettendo un reato, ma anche sto danneggiando in modo molto forte quelli che l’hanno sviluppato, è l’azienda che ci ha investito tanto e che ci ha offerto la possibilità di godere di questo.
Questa cosa in realtà è più difficile applicarla nei giochi come dice lei che sono datati, ad esempio Pokémon, i primi Pokémon non sono più giocabili perché nessuno riuscirebbe bene a giocare con un Game Boy, sarebbe una cosa davvero molto scomoda, poco praticabile. Per questo motivo alcuni se non molti sfruttano la cosa di dire lo rilascio open source al termine di tot anni o di un tot di tempo, proprio perché questa cosa deve essere in qualche modo eredità possibile, il software oggi soprattutto nell’intelligenza artificiale è di gran lunga più open source rispetto a quello che lo era prima, tutte le cose più importanti dell’intelligenza artificiale oggi sono accessibili open source, i concetti sono gratuitamente disponibili, chiaro servono degli strumenti per interpretarli, però sono lì a disposizione di tutti.

Ristrutturare il gioco ovviamente non avrebbe nessun senso, Pokémon Blue o Final Fantasy VII così come sono, non hanno senso di essere rivisti, a meno che vengano fatti un remake come è il caso sia di Pokémon che di Final Fantasy, ma quelli sono altri giochi. Quelli che erano in realtà, secondo me l’approccio più giusto non è quello della pirateria, ma è quello di renderli open source e di rendere open source lo sviluppo alla disponibilità di questi giochi. Molte case lo fanno, lo rendono possibile, moltissime l’hanno fatto, secondo me dovrebbe essere un approccio comune, diffuso, proprio perché questa cosa permetterebbe a tutti di poter godere oltre di un certo lasso di tempo, 15 anni, 20 anni di poter godere di quei giochi.

Lo sviluppo della pirateria ovviamente in realtà intesa come pirateria in senso stretto è un danno, perché in realtà sta obbligando delle persone a non poter più investire in quella tecnologia, in quel gioco. Così come accade nel cinema, quando si pirata un film, la stessa cosa accade nei videogiochi, non c’è più quel budget che ci permette di avere dei giochi sempre più avanzati, sempre più belli e sempre più artistici, come dicevamo prima.

Domanda 9 

Dr. Andrea Alfonsi:
-Secondo lei come cambia il ruolo del docente quando si utilizzano i videogiochi come strumento educativo? Quali competenze aggiuntive potrebbero essere necessarie? Come può il docente guidare e facilitare l’apprendimento degli studenti all’interno di un contesto videoludico, secondo lei?

Professor Michele Laurelli:
-Allora, come dicevo all’inizio, la prima risposta che le ho dato è che il ruolo del docente è, diciamo, così come l’abbiamo sempre immaginato, un po’ anacronistico, nel senso che il docente frontale non permette tutto l’utilizzo di una serie di cose di cui in realtà avremmo bisogno per poter insegnare correttamente. Quindi il ruolo del docente è necessario che cambi a prescindere dall’utilizzo dei videogiochi perché ovviamente si deve confrontare con dei metodi di apprendimento degli studenti che non sono più come di prima, lezioni, appunti, studio. Questa cosa qui non è più così o comunque non è più solo così e c’è necessità che questa cosa si radichi all’interno del corpo docenti in generale.

Detto questo, il videogioco è un supporto. E’ chiaro che non è un passepartout, quindi non può essere valido sempre. Non è che mi basta inserire un videogioco all’interno di un percorso di apprendimento che ho migliorato il tasso di apprendimento dei miei studenti, non è così. Il videogioco è uno strumento che aumenta sicuramente la qualità dell’apprendimento dei miei studenti se questo viene inserito con conoscenza, quindi con logica all’interno di quello che voglio fare.

Ad esempio c’è un videogioco disponibile online gratuitamente che fa una cosa estremamente interessante e cioè spiega come funziona la CPU, quindi il modo in cui il processore del computer elabora le informazioni. Si chiama ”You’re the OS”, è un giochino banale tecnicamente, però ovviamente mi permette di capire che cosa sta succedendo all’interno del processore quando deve elaborare delle informazioni e quindi mi fa vedere tutti i concetti della RAM, del processore, dei task, ed è dicendo. Questa cosa, preceduta da una serie di informazioni trasmesse sulla teoria che ha portato a sviluppare il processore, secondo me radica in modo profondo il concetto di CPU, e il concetto di come funziona tutta una serie di strumenti di elaborazione moderna del dato.

C’è per esempio un altro gioco di questo tipo che si chiama Gandalf, che in realtà è un’intelligenza artificiale tipo ChatGPT, alla quale devo estrarre le password facendo semplicemente delle domande, chiedendogli la in un modo un po’ più articolato rispetto a una semplice domanda, che mi insegna in realtà quali sono le falle di sicurezza informatica di metodo utilizzo di un modello linguistico di intelligenza artificiale. Ora, questo gioco è divertente farlo, può fare chiunque, però se lo vado ad abbinare in un percorso dove sto cercando di insegnare quali sono i modi in cui l’intelligenza artificiale linguistica funziona e quali sono le sue vulnerabilità, va a radicare questo concetto in modo anche molto piacevole, perché poi gli studenti si divertono sempre quando fanno queste cose. 


Dr. Andrea Alfonsi:
-Sembra quasi che la soglia di attenzione  sia più alta, a confronto alle tipiche lezioni che conosciamo.

 Professor Michele Laurelli:
-Esatto, diventa tutto più piacevole e tutto più e profondo è anche più inclusivo, quindi non mi sento semplicemente che devo ricevere dall’alto le informazioni, ma sono io che vado a padroneggiarle e ad utilizzarle. Per imparare la programmazione ci sono infiniti videogiochi fatti apposta, che però non sono elencabili perché sono tanti, sono troppi, però che sono molto utili, che seguono una serie di strumenti che vengono dati in mano agli studenti per poter arrivare a quello che mi serve. Non per forza i videogiochi devono essere pensati per l’apprendimento,  io posso anche utilizzarli semplicemente sulla base di quello che voglio fare.  Lei ha citato Minecraft prima, è esattamente un ottimo modo in cui funziona un certo tipo di programmazione, dove devo programmare, tra virgolette, i miei materiali, devo reperire ciò che mi serve, devo fare una costruzione, devo seguire un algoritmo che mi permette di arrivare al risultato. Come non so costruire del legno lavorato, devo prendere del legno per fare banco di lavoro e via dicendo. Quest’attività mi costringe ad usare pensiero creativo e ad elaborare uno strumento che mi permette di arrivare al risultato. 

Dr. Andrea Alfonsi:
Parlando sempre di Minecraft, ad esempio c’è la Redstone, dove ci sono molti modi di fare, ad esempio si possono costruire all’interno di Minecraft codice dopo codice Pokémon rosso e blu. Puoi proprio giocare all’interno, puoi giocare addirittura a Minecraft al Interno di Minecraft  e per chi conosce il gioco in questione sa di cosa sto parlando e sa benissimo quanto impresa sia folle

Domanda 10

Dr. Andrea Alfonsi:
-Come utilizzerebbe un videogioco in una sua lezione ?
utilizzerebbe un videogioco non ideato principalmente per l’apprendimento? 

Professor Michele Laurelli:
-Questo è quello che dicevo anche nella domanda prima
Io utilizzo videogiochi nelle mie lezioni. Lo faccio, come vi dicevo, utilizzando per esempio quello dove io dico ”You’re the OS” o “Gandalf“per l’intelligenza artificiale sono questi alcuni titoli videoludici che utilizzo. Minecraft non l’ho mai utilizzato, ma sicuramente è un buon metodo. Io non ho la fortuna di avere studenti di alto livello tecnico, perché insegno in altre università.  ma non riesco ad approfondire così tanto perché ovviamente i miei studenti vanno a fare altro nella vita. Questo però, diciamo così, mi permette comunque di utilizzare dei videogiochi. Lo faccio sia che siano pensati per l’apprendimento o no.

Domanda 11

Dr. Andrea Alfonsi:
-l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei videogiochi come metodi compensativi è una possibilità concreta per coloro che soffrono di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) ?

Professor Michele Laurelli:
-L’intelligenza artificiale ha una caratteristica fondamentale in questo caso, che è l’adattabilità. L’intelligenza artificiale è in grado di offrire uno strumento di aderenza alle necessità dell’utente. Quando io scrivo a ChatGPT,  ChatGPT capisce in un certo senso di cosa ho bisogno e si adatta ed elabora quello che deve dire sulla base di chi glielo sta chiedendo e di come glielo sta chiedendo.

Ovviamente nei videogiochi questa cosa, come dicevo prima, esiste già, tipo nei Souls si adatta tantissimo il boss, soprattutto al modo in cui gioca l’utente. Gli permette di fare tante cose, gli permette di aiutarlo a capire come deve comportarsi per fare questa cosa, che è quello che la scuola in questo momento non può fare.  avere un sistema elaborato ad hoc per ogni giocatore e ogni studente, questa cosa non lo può fare.

L’intelligenza artificiale in realtà può e deve fare proprio questo. Deve essere in grado di adattarsi all’utente e all’interlocutore e lo può fare soltanto con la sua corretta applicazione. Cioè pensando all’intelligenza artificiale non come un prodotto e quindi come uno strumento da inserire in una scatola e da fornire come pacchetto completo, ma come progetto. E quindi strutturando un’idea più ampia e più elaborata di dove devo inserirla.

All’interno della scuola si fanno sempre gli stessi errori, cioè si prende uno strumento e si dice “eccolo qua, usatelo”. L’intelligenza artificiale non può essere usata in questo modo. L’intelligenza artificiale deve essere usata come approccio, perché di base è un nuovo approccio a un modo nuovo di fare software. Non è un oggetto che prendo e utilizzo e poso lì e metto in mano. Al contrario, è un modo di fare le cose nuovo, diverso e questo deve costringere il docente o l’istituto ad applicare questa cosa e a pensare in un modo diverso.

Non solo di chi soffre di DSA, ma anche di studenti che hanno bisogno di un approccio leggermente diverso perché sono fatti in un modo diverso. Non penso a DSA, ma penso ad esempio a chi ha disturbi o non è neurotipico, può essere una plusdotazione o può essere DSA o qualsiasi cosa, ha bisogno di un approccio più personalizzato. Ha bisogno di un approccio più personalizzato e quindi anche lo strumento di verifica delle competenze e dell’apprendimento non può essere standardizzato sempre di più. Ha bisogno di nuovi strumenti e di nuove adattabilità. L’intelligenza artificiale è il modo di fare questa cosa e non è solo una possibilità concreta, è una necessità che dobbiamo sposare il prima possibile per poter andare incontro a quelle che sono le nuove sfaccettature della nostra società.

Domanda 12

Dr. Andrea Alfonsi:
In quanto esperto nel campo delle intelligenze artificiali, come valuterebbe l’implementazione di un modello di linguaggio all’interno di un videogioco? Quali vantaggi potrebbe offrire in termini di apprendimento?

Professor Michele Laurelli:
L’implementazione di un modello di linguaggio all’interno di un videogioco rappresenta una prospettiva affascinante e ricca di potenziale. Come esperto nel campo delle intelligenze artificiali, ho una profonda comprensione delle possibilità che tale integrazione può offrire e dei benefici in termini di apprendimento che essa può apportare.
Prima di tutto, è importante sottolineare che l’utilizzo di un modello di linguaggio in un videogioco può trasformare radicalmente l’esperienza di gioco, rendendola più immersiva e coinvolgente. Questo avviene attraverso l’abilità del modello di comprendere e generare linguaggio naturale, consentendo ai giocatori di interagire con il gioco in modo più naturale e intuitivo. Invece di dover memorizzare comandi specifici o navigare attraverso menu complessi, i giocatori possono comunicare con i personaggi o l’ambiente di gioco utilizzando il linguaggio che preferiscono.

Un vantaggio fondamentale dell’implementazione di un modello di linguaggio è la capacità di fornire un’assistenza contestuale ai giocatori. Questo significa che il modello può rispondere a domande, fornire suggerimenti o spiegare elementi di gioco in modo chiaro e personalizzato. Ad esempio, se un giocatore si trova in una situazione difficile o ha bisogno di orientamento, il modello può fornire consigli utili o persino proporre soluzioni alle sfide. Questo non solo migliora l’esperienza di gioco, ma può anche aiutare i giocatori a imparare le meccaniche del gioco in modo più efficace.

Inoltre, l’implementazione di un modello di linguaggio può consentire una personalizzazione avanzata dell’esperienza di gioco. Il modello può monitorare le azioni e le preferenze dei giocatori nel corso del gioco e adattare dinamicamente il contenuto o le sfide in base a ciò che è rilevante per ciascun giocatore. Questo livello di personalizzazione non solo rende il gioco più coinvolgente, ma può anche accelerare il processo di apprendimento, poiché il gioco si adatta al livello di abilità e alle preferenze individuali del giocatore.

In termini di apprendimento, l’implementazione di un modello di linguaggio può essere particolarmente utile per giochi educativi o simulazioni. Il modello può fungere da tutor virtuale, spiegando concetti complessi, rispondendo a domande degli studenti o guidando l’apprendimento in modo interattivo. Ciò è estremamente benefico per il processo di apprendimento, poiché offre un feedback immediato e personalizzato.

L’implementazione di un modello di linguaggio in un videogioco rappresenta un passo avanti nell’evoluzione dell’interazione uomo-macchina nel mondo dei giochi. I vantaggi in termini di apprendimento sono evidenti, grazie alla possibilità di comunicare in modo naturale con il gioco, ricevere assistenza personalizzata e sfruttare la personalizzazione avanzata. È importante però gestire attentamente l’implementazione per garantire che aggiunga valore all’esperienza di gioco senza renderla troppo complessa o disorientante per i giocatori.

Fine intervista

In chiusura vorrei ringraziare ancora una volta il Professor Michele Laurelli per questa preziosa intervista.
Ringrazio anche Paolo Alfonsi per avermi aiutato con la stesura di questo articolo.

Dr. Andrea Alfonsi & Dr. Paolo Alfonsi
Dr. Andrea Alfonsi & Dr. Paolo Alfonsi
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